Gli alimentatori switching


Gli alimentatori switching

Gli alimentatori a commutazione che utilizziamo giornalmente, tipo quello che carica lo smartphone, sono un concentrato di tecnologia elettronica che nemmeno immaginiamo.
Vero che anche in passato si caricavano lo stesso i telefonini o altro, ma vi invito a confrontare un attimo la vecchia e la nuova tecnologia, per capirne la differenza. La prima cosa che notiamo sono le dimensioni, ridotte ad oltre 1/4, e successivamente il peso (pochi grammi quelli odierni, vicino al centinaio di grammi quelli vecchi). Non ne parliamo poi di quelli più grandi che dovevano erogare più corrente, tipo i caricabatterie di un trapano elettrico....


Che c'è di strano in questa tecnologia? Il principio di funzionamento, totalmente differente dalla vecchia. Analizziamo velocemente le due tecnologie, iniziando dalla "vecchia".
La tensione di rete (è errato dire "corrente"), viene abbassata a livelli ottimali da un trasformatore convenzionale a lamierini al Silicio, quindi raddrizzata da diodi e livellata da un condensatore.

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La tensione d'uscita di un sistema del genere NON è stabile con le variazioni del carico e di rete. Le dimensioni non sono trascurabili, anche nel caso di piccole potenze. Per stabilizzare la tensione d'uscita ci vuole un ulteriore circuito aggiuntivo, che dissipa inutilmente molta potenza in calore e che richiede ovviamente ulteriore spazio, forse maggiore del trasformatore stesso, a causa dell'enorme aletta di raffreddamento in Alluminio necessaria per lo smaltimento del calore.
Con gli anni abbiamo assistito ad un miglioramento dei dispositivi attivi, soprattutto riguardo la frequenza di lavoro (oltre che la potenza sopportabile). Si è pensato quindi di variare il sistema, utilizzando una semplice legge dell'elettrotecnica, ovvero utilizzando un trasformatore che a parità di potenza è molto più piccolo (se fatto lavorare a frequenza elevata). La frequenza di rete, come sappiamo, è molto bassa (50 Hz) per cui dobbiamo salire. I primi alimentatori a commutazione (switching, per gli addetti ai lavori), lavoravano su frequenze relativamente basse, ovvero non superavano il limite dell'udito umano (circa 20.000 Hz per i più giovani), per cui il trasformatore emetteva un noioso fischio/sibilo. Successivamente, grazie al miglioramento dei dispositivi attivi e con l'introduzione dei Mosfet di potenza, le frequenze sono state portate oltre i 150-200 KHz. Oggi si lavora anche fin oltre 2 MHz (2.000.000 di Hz).
Vediamo di capire il funzionamento della nuova tecnologia, tra l'altro non tanto complicato come potrebbe sembrare.

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La tensione di rete viene raddrizzata direttamente dai diodi e livellata un condensatore di capacità adeguata. Ai capi di tale condensatore ci troviamo una tensione di oltre 310V (attenzione quindi con i caricabatterie moderni: piccoli ma molto più pericolosi dei vecchi!). Tale tensione viene "spezzettata" da un circuito di controllo, e tramite il famigerato Mosfet, pilota il primario di un trasformatorino in ferrite.

Flyback

Il rendimento di tale accrocco è notevolmente più elevato di un alimentatore di vecchia generazione, grazie alla frequenza di " switching" molto più elevata di quella di rete. La tensione d'uscita del trasformatore è alternata, per cui è necessario raddrizzarla con diodi Fast (alta velocità) e quindi filtrata con un condensatore. Il circuito di controllo misura continuamente la tensione d'uscita. Nel caso la tensione tende ad aumentare, il circuito di controllo provvede a ridurre la larghezza degli impulsi di pilotaggio sul Mosfet, per riportarla al livello originario.  Lo stesso accade se la tensione tende a calare: il circuito allarga gli impulsi di pilotaggio, e la tensione risale al valore prefissato. Se ci pensate bene, si è ottenuta anche una stabilizzazione, cosa non possibile nel caso precedente se non con l'aggiunta di un ulteriore elemento in uscita. La dissipazione sul Mosfet è bassissima, in quanto lavora ad alta tensione, quindi di conseguenza la corrente sarà bassissima. In commutazione un Mosfet è quasi un interruttore ideale, per cui la sua resistenza interna è bassissima, per cui anche la tensione ai suoi capi sarà di conseguenza bassissima. Il prodotto V*I che in questo caso sarebbe la dissipazione di calore (indesiderata), si mantiene a livelli molto bassi, contrariamente alla vecchia tecnologia.


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